Articolo pubblicato su Unione Sarda domenica 17 febbraio 2019
In questi tempi di povertà crescente, la solidarietà è diventata un valore sempre più importante. Molti invocano provvedimenti legislativi di tutela per i meno fortunati e credono che tali misure costituiscano un progresso che i tempi passati non conoscevano. Eppure non è sempre così: un esempio di solidarietà è nella Legge 1766/1927, risalente ad un ventennio difficile da voler ricordare per gli errori e gli orrori commessi. Essa disciplina gli usi civici, che risalgono addirittura al Medio Evo. Gli usi civici sono diritti dei residenti di un Comune di utilizzare terreni per le proprie necessità, come per raccogliere legna, fronde, erba, funghi, pascolare animali eccetera, con nomi antichi come legnaticum, frondaticum, erbaticum, fungaticum eccetera. Nacquero a garanzia dei bisogni dei più poveri contro i grandi latifondisti. Anche se in certi casi si può ben dubitare della loro effettiva legittimità (e non manca chi a ragione li contesta in giudizio), le aree da essi gravate sono soggette a un regime analogo a quello che regola i beni demaniali: non si possono vendere a pena d’insanabile nullità. Sono molto comuni in Sardegna ma talvolta gli stessi Comuni ne hanno scordato l’esistenza, autorizzando la costruzione di interi nuclei urbanizzati sulle aree ad essi assoggettate e lasciando credere ai privati cittadini di poter disporre liberamente delle case edificate sulle stesse.
Il problema sorge però quando l’ignaro privato vuole cedere o ipotecare l’immobile: il notaio non può ricevere l’atto (un grattacapo anche per il notaio, poiché la loro formalizzazione risale in massima parte al ventennio fascista, cioè ad un tempo molto più antico rispetto al raggio delle ordinarie indagini notarili, e non risultano dai Registri Immobiliari). Verificata la loro esistenza (e la loro legittimità), si possono tuttavia sclassificare, o eliminare, mediante un articolato iter amministrativo che coinvolge il Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici. La Legge Regionale Sarda 12/1994 stabilisce inoltre che a seguito della sclassificazione la proprietà dell’immobile gravato da uso civico passa automaticamente in capo al relativo Comune. A nulla vale il pregresso possesso da parte del privato, che non può invocarne l’usucapione.
Tuttavia, come spesso accade, esistono eccezioni: se la sclassificazione sia autorizzata oggi perchè il terreno è stato venduto dal Comune prima dell’entrata in vigore della Legge 431/1985 (c.d. “Legge Galasso”), quella vendita resta valida. In tali casi si prende quindi atto che con il passare del tempo l’uso civico è di fatto estinto per mancato utilizzo e la sclassificazione ex post non riporta il terreno nel patrimonio comunale: il cittadino può vendere l’area (e l’eventuale casa su di essa eretta) in serenità.
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